Chi siete e di cosa vi occupate?
L’associazione culturale AntropicA nasce nel 2018 nella periferia sud di Roma da un gruppo di giovani professionisti nell’ambito del filmmaking etnografico, della pedagogia interculturale e della formazione professionale, con un approccio locale, nazionale e internazionale. I soci fondatori sono Parsifal Reparato, Emma Ferulano e Daniel Cavasino.
La mission di AntropicA è l’innovazione del modo di fare cinema e la creazione di occasioni di formazione e autoformazione rivolti a giovani, studenti, appassionati del mondo del cinema e appartenenti a fasce marginali – disoccupati, inoccupati o NEET – attraverso la realizzazione di prodotti con contenuti e contenitori di qualità, per produrre, divulgare ed analizzare temi di interesse antropologico, sociale e culturale con un linguaggio attraente per lo spettatore comune e mai scontato per il mondo scientifico. Fa parte del processo creativo e di ricerca la scoperta e la valorizzazione del patrimonio culturale materiale e immateriale, a partire dal recupero delle memorie delle comunità locali, con progetti di ricerca azione ai margini in senso geografico, economico, sociale ed antropologico
Raccontateci il progetto vincitore del bando
“Filmmaking etnografico. Formazione e memoria” è stato un progetto grazie al quale siamo riusciti a coinvolgere molte più persone di quelle che ci aspettavamo.
Come nasce la vostra idea e qual è l’obiettivo che intendete raggiungere?
L’idea di Filmmaking etnografico. Formazione e memoria, nasce dall’esigenza di dare risposta ad una domanda crescente di formazione in ambito professionale nell’ambito del cinema documentario. Questa domanda di formazione proviene da settori molto diversi, sia dall’ambito professionale, abbiamo avuto richieste da giovani e meno giovani che volevano muovere i primi passi nel cinema documentario o migliorare le proprie competenze. Molte domande di partecipazione sono arrivate dall’ambito accademico italiano, soprattutto degli studenti di cinema, antropologia e scienze sociali che riconoscono nell’audiovisivo un utile strumento d’indagine, e sentono la necessità di aumentare le proprie competenze nell’ambito del cinema documentario. È un percorso che conosco bene, proprio come socio fondatore. Io stesso ho vissuto sulla mia pelle la mancanza di un’offerta formativa completa da parte dell’università. Sono laureato in antropologia ed ho sempre fatto notare all’accademia la carenza dell’offerta dal punto di vista pratico, il che rende debole anche l’offerta didattica dato che l’accademia resta isolata dal mondo del cinema documentario.
Così dopo oltre 10 anni di attività lavorativa nell’ambito del cinema documentario, abbiamo voluto lavorare su un grande gap che abbiamo in Italia. Da anni ci poniamo come associazione ponte tra il mondo accademico e il mondo del cinema. Da anni tentiamo di portare contenuti di qualità nel mondo del cinema, contenuti frutto di ricerche scientifiche, che si avvalgono degli strumenti della ricerca etnografica. Lo facciamo però con una grande attenzione anche dal punto di vista cinematografico, ci concentriamo anche sulla formazione tecnica, da un punto di vista molto concreto. Il cinema è azione, è voglia di fare, è da qui che siamo partiti, dalla voglia di fare e fare bene, andando al di là delle dinamiche che sono proprie di molte scuole di cinema, molto spesso inaccessibili per molti dal punto di vista economico oppure non accessibili a chi non ha già un background propriamente cinematografico.
La diversità dei profili che abbiamo selezionato è stata la forza del gruppo che ha realizzato l’elaborato finale, molto spesso si pensa al cinema come il fine e non il mezzo per affrontare, ricercare, elaborare e raccontare determinati contenuti. Noi siamo partiti dalla voglia di conoscere e coinvolgere ragazzi che avessero idee e passioni che andassero oltre il cinema, ma che riconoscevano nello strumento cinematografico un mezzo tramite cui condividere delle idee.
In definitiva tutto è nato dall’idea di voler condividere buone (ed anche cattive) pratiche e saperi, al fine di iniziare a creare un network virtuoso, di nuovi professionisti, formati tecnicamente ma capaci di affrontare il lavoro con una visione forte.
Come siete venuti a conoscenza dell’avviso pubblico di Vitamina G e come ha contribuito alla vostra crescita come associazione?
Siamo venuti a conoscenza dell’avviso pubblico di Vitamina G attraverso la newsletter della Regione Lazio. Eravamo ancora in pieno periodo pandemico, in lockdown, ed avevamo già iniziato a promuovere delle lezioni online che avevano suscitato interesse sia dall’Italia che dall’estero.
Vitamina G è stata l’occasione propizia per mettere in atto quello che avevamo pensato di mettere in atto da anni. Volevamo sì diffondere il nostro modo di lavorare, ma anche creare un network che ruotasse intorno all’idea di cinema documentario, con una forte vocazione per la ricerca etnografica. L’assegnazione del contributo è stato un modo per far conoscere ad un pubblico più ampio la nostra realtà, è stato un modo per iniziare a colmare quel gap che c’è tra le istituzioni accademiche e il mondo del cinema documentario. Per noi è stata l’occasione per intessere nuovi legami con associazioni, istituzioni e realtà territoriali più anziane di noi, è stato un modo per farci conoscere e conoscere nuove realtà.
Abbiamo stabilito un’ottima partnership con Biblioteche di Roma, che ci ha messo a disposizione la spazio della Biblioteca Nelson Mandela, dove abbiamo realizzato la gran parte degli incontri in aula, abbiamo costruito una partnership con il MedFilm Festival, che ha dato l’opportunità ai nostri allievi di mostrare il lavoro finale in una sala cinematografica durante il festival cinematografico più antico della Capitale. Abbiamo intensificato il nostro rapporto con l’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, un’istituzione a cui ci sentiamo affini per il tipo di sguardo impegnato che ha sulla realtà. Infine siamo diventati interlocutori di alcuni corsi di studio dell’Università Sapienza di Roma e Tor Vergata, è stato soddisfacente sapere che alcuni docenti riconoscessero dei CFU agli studenti che partecipavano al nostro corso.
Questo network, la possibilità di avere un budget da dedicare alla comunicazione ha fatto si che la nostra realtà potesse sfruttare più mezzi per arrivare ai giovani in cerca di quello che noi proponiamo. Oggi siamo più consapevoli di come gestire una comunicazione efficace e come migliorare la prossima edizione del workshop.
Qual è stata la fase finale del vostro progetto?
La fase finale del nostro progetto è stato il montaggio delle riprese svolte nei mesi scorsi. Un lavoro che ha portato via molto più tempo del previsto, dato che l’elaborazione dei dati della ricerca e le riprese affrontavano temi difficili e complessi, che hanno richiesto un’elaborazione e una discussione di gruppo approfondita. Questo è stato un ostacolo, che ha certamente rafforzato la consapevolezza degli allievi sulle difficoltà a cui si va incontro nella realizzazione dei documentari.
Infine abbiamo organizzato la proiezione del cortometraggio documentari Āmarā.Appunti per un documentario etnografico, in occasione del MedFilm Festival. Un momento emozionante, in cui con gli allievi con le loro famiglie, i protagonisti della comunità di Tor Pignattara, abbiamo condiviso il risultato di mesi di intenso lavoro.
I vostri tre motivi per i quali ragazze e ai ragazzi under35 dovrebbero partecipare a Vitamina G?
Il primo motivo è che avere a disposizione un budget da cui partire per mettere in atto un’idea forte che si ha nel cassetto è un’esperienza bella e importante, con cui vale la pena confrontarsi per capire che oltre alle idee forti e al budget bisogna fare i conti anche con altre importanti variabili. Vitamina G dà la possibilità di mettersi alla prova su un progetto non troppo grande, ma il giusto per iniziare a capire come si gestisce un progetto.
Il secondo motivo è che se si vuole far crescere la propria associazione è importante misurarsi prima di tutto con il territorio di appartenenza, e avere un incentivo da parte della Regione per conoscere meglio il proprio territorio è un grande vantaggio.
Il terzo motivo è che Vitamina G, è un bando pensato per i giovani anche dal punto di vista finanziario, il fatto di aver annullato la fidejussione rende il finanziamento accessibile anche a giovani che non hanno le spalle coperte. Non sono molti i bandi che permettono di fare questo, quindi è una motivazione in più per non lasciarsi sfuggire questa occasione.
Perchè i giovani ragazzi dovrebbero partecipare a progetti come il vostro?
Questa domanda andrebbe rivolta alle centinaia di giovani e meno giovani che hanno risposto alla nostra call per aderire al workshop. Le motivazioni erano molte, ma in comune tutti richiedenti che abbiamo incontrato ci hanno motivato la loro adesione perché il nostro progetto è l’unico in ambito regionale e nazionale capace di congiungere due mondi, soddisfacendo una richiesta formativa urgente. Ancor più l’esigenza di molti di inserirsi in un network o prendere contatti con professionisti del mondo del cinema. Un mondo ancora troppo esclusivo, in Italia, ma ancor più nella Capitale. Avere l’opportunità di costruirsi un network, anche per chi partisse da zero, è stata, è e sarà certamente una della ragioni che principalmente spingono i giovani a partecipare ad un progetto inclusivo come il nostro, che non discrimina nessuno per provenienza di classe sociale, di nazionalità, di background culturale.
Come sperate si sviluppi in futuro il vostro progetto?
Nel breve termine stiamo già vedendo i primi risultati del workshop, siamo già riusciti a promuovere diversi ragazzi e ragazze in ambiti lavorativi, abbiamo condiviso la nostra rete di contatti e qualcuno ha già avviato diverse collaborazioni.
Nel medio periodo speriamo di promuovere una seconda edizione del workshop, grazie al supporto della Regione Lazio ed altre istituzioni. Ci sono ancora ragazzi e ragazze che ci seguono dai colloqui dello scorso anno – che purtroppo non abbiamo potuto selezionare per garantire una buona gestione del corso – che sperano di riprovarci l’anno prossimo. Durante tutto l’anno ci sono arrivate continue richieste da parte di giovani e meno giovani di poter accedere al corso. Uno dei nostri obiettivi e mantenere questo corso accessibile dal punto di vista economico, così da garantirci una selezione di allievi in base alla convergenza di interessi e voglia di fare, piuttosto che alla disponibilità economica, che non è sinonimo di qualità.
Nel lungo periodo stiamo lavorando con diverse istituzioni, con università, associazioni, fondazioni, società di produzione e distribuzione e vorremmo aprire un dialogo con la Regione per far si che questo progetto cresca nella direzione di un vero e proprio centro di formazione interdisciplinare, a cavallo tra ricerca scientifica e cinema documentario.
Siamo convinti che il filmmaking etnografico rappresenti un nuovo modo di fare cinema, i risultati ottenuti ci dicono che questo modo di lavorare, oltre ad essere fortemente coltivato dai giovani – sia professionisti che futuri professionisti – è anche foriero di eccellenti risultati in termini qualitativi. Non a caso i progetti in cui siamo coninvolti come professionisti stanno ottenendo grandi risultati e attenzioni anche nell’ambito dei mercati del cinema internazionali.